Fino a qualche anno fa, avere un posto fisso era un sogno di molti. Lo raccontava anche Checco Zalone nel film Quo Vado?, parlandone come sinonimo di sicurezza e successo. Oggi, però, questo modello sembra appartenere al passato.

Con il termine “lavori non standard” si includono part-time, contratti a tempo determinato, autonomi, freelance, gig work, part time ed altri ancora. Si tratta di una categoria sicuramente eterogenea ed in costante crescita, che coinvolge principalmente donne, giovani e migranti, come riportato dall’Organizzazione Internazionale del Lavoro.
In un mondo sempre più dinamico, globalizzato ed interconnesso, assistiamo infatti ad una transizione sempre più massiccia verso forme di lavoro non-standard: impieghi che non rientrano nella categoria del lavoro a tempo pieno e indeterminato. Ma chi sono i lavoratori / lavoratrici non-standard, e quali sono le loro opportunità e i loro rischi?
Donne, migranti, giovani
Il primo gruppo maggiormente rappresentato nelle forme di lavoro non-standard è quello delle donne. L’impatto di queste modalità lavorative sulle donne è duplice e dipende in gran parte dal contesto culturale: in società caratterizzate da ruoli di genere tradizionali, dove la donna è strettamente associata al ruolo materno e domestico, il lavoro non-standard può rappresentare una possibilità di accesso al mondo del lavoro, agevolando in esso la partecipazione femminile. Tuttavia, nei contesti culturali dove si è nel tempo affermata una visione della donna più moderna e flessibile, le donne che svolgono lavori non-standard rischiano di essere etichettate come parte della mommy track, un percorso professionale meno ambizioso proprio perché rallentato dalla maternità.
Un altro gruppo largamente rappresentato fra chi ha lavori non-standard è quello delle persone migranti. La prima problematica che molte affrontano è indubbiamente la barriera linguistica e culturale: non conoscere la lingua locale e le norme sociali, che spesso sono implicite, limita notevolmente le opportunità lavorative delle persone migranti. Un ulteriore ostacolo da non sottovalutare sta nel riconoscimento dei titoli di studi e delle qualifiche ottenuti nel proprio paese di origine, un processo burocratico spesso complesso e apparentemente interminabile, che rende l’ottenere una posizione lavorativa standard complicato, se non quasi impossibile. Per questi motivi, le persone migranti possono trovarsi nella posizione di accettare impieghi discontinui o con minori garanzie.
Infine, c’è un forte legame tra età e lavoro non standard: le persone giovani, in particolare, rappresentano la maggioranza di chi è occupato in queste posizioni. Per loro, le forme di impiego non standard possono fungere da ponte verso l’occupazione formale e standard, offrendo un primo accesso al mercato del lavoro. Queste esperienze lavorative consentono a chi è giovane di conciliare studio e lavoro, ma comportano anche rischi significativi: le persone giovani sono spesso percepite dai datori di lavoro come facilmente sostituibili, e l’accesso iniziale al lavoro attraverso forme precarie può tradursi in una permanenza prolungata in condizioni di sottoccupazione. In poche parole, quella che dovrebbe essere un trampolino di lancio spesso si rivela essere un vicolo cieco.
Non solo le persone giovani, però, prendono parte al lavoro non standard. Parallelamente, anche i lavoratori e lavoratrici più anziane possono essere coinvolti in questo fenomeno, seppure con dinamiche diverse. In questa fascia di età, infatti, molte persone si trovano escluse dal lavoro standard e sono spinte a reinventarsi professionalmente per mantenere una fonte di reddito. Il lavoro autonomo diventa in questo caso un’opzione sempre più frequente.
D’altro canto, forme di impiego come questa offrono minore protezione sociale, esponendo a rischi di esclusione dai sistemi di welfare e pensione, con possibili ripercussioni a lungo termine.
Quali sfide comporta allora il lavoro non standard?
Molti lavori non standard sono sinonimo di autonomia, realizzazione di un sogno, sviluppo personale e professionale, conciliazione. Tuttavia, non tutte le persone scelgono di rimanere in questo tipo di occupazione. Inoltre, specie per le categorie di sopra, e per chi si trovi in una situazione di non standard involontario, sono presenti diversi rischi.
Per cominciare, nella maggior parte dei casi, si rischia di guadagnare meno rispetto a chi ha un impiego standard. Certo, esistono anche delle eccezioni: alcuni imprenditori riescono ad avere successo e a guadagnare anche più della media. Ma sappiamo bene che non tutti possono essere Jeff Bezos o Elon Musk…
Quali sono quindi i prossimi passi?
Il lavoro non standard necessita secondo noi di uno sguardo più critico. Non solo da parte della ricerca, che già da tempo ne mette in discussione i presupposti, ma anche, e soprattutto, da parte nostra. È una questione che ci riguarda, direttamente o indirettamente, e che merita attenzione e consapevolezza. Il lavoro non standard è concreto, reale, e tocca le nostre vite e quelle di chi ci sta accanto. Non possiamo limitarci ad accettare passivamente che “le cose vadano così”. Dobbiamo invece chiederci perché vadano così, e cosa questo comporti, nel bene e nel male.

Sebbene questo articolo abbia (si spera) chiarito cosa sia il lavoro non standard, chi lo svolge e quali sfide comporta, è fondamentale ricordare che non si tratta affatto di una realtà lontana. Al contrario: è la nostra realtà, quella che viviamo ogni giorno anche noi autrici come studentesse universitarie. Gran parte delle persone che conosciamo entra in questa categoria. Questo fenomeno è diventato la norma… ma siamo sicuri che sia davvero normale?
Essere curiose, essere critiche ed acquisire consapevolezza. È da qui che dobbiamo partire.
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